Il carteggio con Kruscev, l’impegno per evitare la guerra atomica. A Roma una giornata di studi, a sessant’anni dall’omicidio del presidente Usa. A partire dalle sue fatidiche parole pronunciate in piena Guerra Fredda

John Fitzgerald Kennedy e Nikita Kruscev erano diversissimi in tutto. Eppure i due presidenti si scambiarono molte lettere in cui condividevano la stessa angoscia: evitare una guerra atomica. Un carteggio rimasto a lungo segreto e pubblicato qualche anno fa negli Stati Uniti (“The Kennedy-Khrushev Letters”, Thomas Fensch) testimonia quanto i due leader fossero aperti al dialogo e determinati a guidare il mondo in una direzione pacifica dopo la crisi dei missili cubani. Ora, Biden e Putin non sono Kennedy e Kruscev, ma non si può certo dire che i due abbiano tentato di trovare un punto di incontro o almeno un confronto per porre fine al conflitto in Ucraina. Eppure parlare di pace, ci ricorda Kennedy, «deve essere lo scopo razionale e necessario di ogni uomo razionale».

Proprio partendo dalle sue parole pronunciate in tanti discorsi del 1963 e oggi ancora attuali, la città di Roma (nell’Auditorium dell’Ara Pacis) ha dedicato una giornata di studi al presidente americano ucciso a Dallas 60 anni fa: «J.F. Kennedy. “Una strategia per la pace” 60 anni dopo».

Era il 22 novembre 1963 – chi c’era non può averlo dimenticato - quando John Fitzgerald Kennedy, presidente degli Stati Uniti eletto per i Democratici nel 1961, fu colpito alla testa mentre attraversava in macchina la città di Dallas, dove i suoi progetti di riforme sociali e civili avevano molti nemici. Per quei colpi di fucile fu arrestato l’ex marine Lee Harvey Oswald. Ma le teorie complottiste che cominciarono a diffondersi subito dopo l’uccisione del presidente (Oswald agì da solo?) non hanno mai portato alla luce la verità. Chi era in America quel 22 novembre del 1963 ricorda esattamente cosa stava facendo e dove era in quel momento. Fu uno shock, senza dubbio. E sulla sua morte (e in generale sulla sua famiglia, ricordiamoci che anche il fratello Robert fu assassinato il 6 giugno del 1968) è stato scritto di tutto, sono stati girati film, allestite mostre.

Ma l’ultima grande campagna del presidente americano JFK fu la lotta per una pace sostenibile con l’Unione Sovietica. Ecco perché la conferenza di cui parlavamo – coordinata da Miriam Mirolla, professore di Psicologia dell’Arte, Accademia di Belle Arti di Roma e presidente di Pensare Insieme - celebrava proprio il sessantesimo anniversario del discorso pronunciato il 10 giugno 1963, “Una strategia per la pace”, rivolto ai laureandi della American University. Kennedy cercò di spiegare quanto la pace tra Stati Uniti e Unione Sovietica fosse sia realistica che realizzabile, anche all’apice della guerra fredda.

 

«La vera pace deve essere il risultato dell’impegno di molte nazioni, la somma di molti atti», diceva: «La pace, infatti, è un processo, non un modo per risolvere i problemi».

Proprio di questo si è discusso, analizzando la ricerca di pace di JFK dal punto di vista storico, politico, culturale e personale. «L’idea nasce insieme al professor Jeffrey D. Sachs (professore di Economia alla Columbia University e presidente United Nations Sustainable Development Solutions Network Sacks), profondo conoscitore dei discorsi di politica estera di John F. Kennedy», spiega la professoressa Miriam Mirolla: «Volevamo partire da questo discorso così importante alla luce di ciò che sta accadendo oggi. “Respiriamo tutti la stessa aria” dice Kennedy, che miracolosamente riuscì a limitare la proliferazione dei test delle armi nucleari. Bisognerebbe parlare di trattativa, spese militari, rischi ambientali anche fuori dal Parlamento, dando voce agli studiosi. Soprattutto per dire che in assenza di pace non si può parlare di sostenibilità. E qui interviene infatti l’Accademia, nel rapporto tra creatività e sostenibilità».

E l’aggancio con quello che sta accadendo in Ucraina è inevitabile. «La pace attraverso i negoziati non è impossibile», spiega il professor Sacks: «La mia proposta è che il mondo al di fuori dell’Occidente, ovvero l’America Latina, l’Africa e l’Asia, dica a Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Ucraina di negoziare seriamente». Dovrebbe essere l’Unione Europea, aggiunge, a sostenere la via della diplomazia, «chiarendo che l’Ucraina è benvenuta come membro dell’Ue ma non come membro della Nato».

Ecco, le parole di Kennedy, forse possono essere una guida per parlare seriamente di pace, come hanno sottolineato molti relatori. Tra gli interventi anche quello di Kerry Kennedy (Presidente del Robert F. Kennedy Center for Human Rights), Nina Khrushcheva (Professore di Affari Internazionali, New School, New York City), Gillian Sorensen (Assistente al Segretario Generale delle Nazioni Unite). E poi Romano Prodi (ex Presidente Commissione Europea), Mario Marazziti (Comunità di Sant’Egidio), Stefano Zamagni (Accademia Pontificia delle Scienze Sociali), Umberto Vattani (ex Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri), Domenico De Masi (Sociologia del lavoro), Alberto Melloni (Storia del cristianesimo).

E a proposito di JFK, Miriam Mirolla ha ricordato l’opera di Sergio Lombardo, che in questo momento sta esponendo i suoi ritratti del presidente in una mostra americana itinerante, intitolata “2JFK”, che il 22 novembre, giorno dell’anniversario, arriverà a Boston. I due ritratti di JFK, uno a colori e l’altro in bianco e nero, vengono affiancati per la prima a volta. Forse è così che gli americani vogliono ricordare Jack (era il suo diminutivo), sorridente o con il suo sigaro in bocca, per continuare a far vivere un mito e ad immaginare, come Stephen King nel suo libro “Kennedy”, di poterlo salvare ancora.